I TESORI WELLESIANI DI PORDENONE
Il Mercante di Venezia © Oja Kodar _ Cinemazero _ Filmmuseum München
I TESORI WELLESIANI DI PORDENONE
L’Associazione Culturale Formacinema, in collaborazione con  Cinemazero, Le Giornate del Cinema Muto e Apollo spazioCinema, presenta a Milano i tesori di Orson Welles ritrovati a Pordenone. Il Mercante di Venezia (1969), Too Much Johnson (1938) e un estratto dal film Portrait of Gina, tutti contenuti in una cassa di proprietà del cineasta americano, riapparsi miracolosamente a Pordenone, saranno presentati a Milano in un'unica ed esclusiva serata evento.
Sala Gea Cinema Apollo di Milano, mercoledì 4 novembre 2015 ore 20.00.
Presentano l'evento: Paolo Mereghetti (Corriere della Sera), Luca Giuliani (Cinemazero - Responsabile restauro Il Mercante di Venezia) e Massimiliano Studer (Formacinema).
Il 6 maggio 2014, Formacinema aveva organizzato al cinema Anteo la proiezione di Too much Johnson (1938). Il film inedito di Orson Welles, riconosciuto dal compianto Ciro Giorgini, era stato rinvenuto in una cassa a Pordenone. Dentro questo magico contenitore c'erano altri tesori che Formacinema ora presenta ai cittadini milanesi. Questi tesori dimostrano, in maniera incontrovertibile, il genio poliforme di Welles. Teatro, Cinema e Televisione si intrecciano e si mescolano in maniera inaspettata. Questa serata evento del 4 novembre 2015 è un concreto esempio della capacità del cinema di fare cultura all'interno di spazi ubicati nel cuore di una città. Il cinema Apollo rischia la chiusura entro il 2016. Formacinema si impegna da sempre a diffondere la cultura cinematografica e ha voluto con questa serata omaggiare la storica sala dell'Apollo che è l'unica struttura del centro di Milano che offre cinema, non inteso come intrattenimento ma come forma di spettacolo culturale. Formacinema desidera ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile l'organizzazione di questo evento: Riccardo Costantini e Luca Giuliani (Cinemazero), Livio Jacob e Giuliana Puppin (Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone), Sergio Oliva e Donata Miceli (SpazioCinema).
IL MERCANTE DI VENEZIA (1969)
Il Mercante di Venezia © Oja Kodar / Cinemazero / Filmmuseum München
“Il ruolo che davvero sogno di interpretare è l'ebreo di Shakespeare. Io sono cristiano (non che la cosa importi), ma ho sempre sentito una certa affinità verso Shylock e vorrei raccontare questo mio sentimento al pubblico”.
Orson Welles.
Questa riduzione dell'opera di Shakespeare doveva essere uno degli episodi di una trasmissione televisiva per la CBS con ritratti di alcune capitali europee fra cui Londra, Vienna e Venezia. Orson Welles in persona mentre si prepara a entrare nel personaggio e cura personalmente il trucco, introduce lo spettatore alla natura di Shylock e dell'opera. Con un classico movimento fra realtà e finzione lo vediamo accogliere la richiesta di Bassanio e dopo aver salutato la figlia Jessica, prepararsi strada facendo in mezzo al carnevale, all'incontro con Antonio al termine del quale suggella il riscatto di una libbra di carne. Nel mentre Lorenzo approfitta per fuggire con Jessica verso il regno di Belfort. Al suo rientro Shylock troverà l'amara sorpresa, la sparizione della figlia e dei suoi averi. Il servo Tubal a breve gli porterà notizie da Genova sia della figlia sia dell'affondamento di tutte le navi di Antonio e dunque della sua conseguente rovina. Shylock manda subito Tubal a chiamare un ufficiale giudiziario per riscuotere il riscatto e incalzato da alcuni passanti termina l'episodio con il celebre monologo sulla differenza fra ebrei e cristiani e sul senso della sua vendetta.
VICENDE PRODUTTIVE E STORIA DEL RITROVAMENTO
Il mercante di Venezia, film incompiuto considerato universalmente perduto torna a nuova vita grazie al ritrovamento nel 2015 di nuovi materiali da parte di Cinemazero (Pordenone). Buona parte del film era stata consegnata diversi anni or sono da Oja Kodar, attrice, musa ispiratrice e ultima compagna di Orson Welles, al Filmmuseum München. Unendo i materiali dell'archivio tedesco a quelli ritrovati da quello friulano, aggiungendovi alcune scene conservate dalla Cineteca di Bologna, dopo un accurato lavoro di ricerca (La Cinémathèque Française; Paris Mercury Theatre Productions, New York; Special Collections Library at the University of Michigan, Ann Arbor), si è potuti arrivare a realizzare una ricostruzione del film puntando a una versione che fosse il più possibile simile a com'era stato pensato e realizzato nella sua ultima versione da Orson Welles all'epoca. Linea guida del lavoro è stato lo script originale del regista, recentemente ritrovato. Per la ricostruzione si sono consultati tutti i materiali disponibili: l'album (registrato fra il 27 Luglio e il 14 settembre, 1938) tratto dall’edizione del suo "Everybody’s Shakespeare" e illustrata con un disegno della edizione a stampa, la sua apparizione al “Dean Martin Show” (14 settembre,1967), senza tagli, un frammento di un adattamento cinematografico del 1969, che non è mai uscito, e diversi estratti inutilizzati del monologo di Shylock che girò durante le riprese de “La Decage Prodigeuse” di Claude Chabrol in Francia (1971) e durante i sopralluoghi per le riprese di “The Other Side Of the Wind” in Spagna (1973).
TOO MUCH JOHNSON (1938)

Too much Johnson © George Eastman House / Cinemazero / La Cineteca del Friuli
Mercury Theatre, USA, B/N, 66’, 1938) (copia lavoro). Regia: Orson Welles; soggetto: dalla pièce di William Gillette (1894); fotografia: Harry Dunham; montaggio: Orson Welles; prod: John Houseman, Orson Welles; cast: Virginia Nicholson [Nicolson] (Leonora Faddish), Guy Kingsley (Henry Mackintosh), Eustace Wyatt (Francis Faddish), Arlene Francis (Mrs. Clairette Dathis), Joseph Cotten (Augustus Billings), Herbert Drake (a “Keystone Kop”), Marc Blitzstein (passante), Ruth Ford (Mrs. Augustus Billings). Formato: HD. Senza didascalie.
Per una analisi del film si veda: Too much Johnson: l'anello mancante del cinema di Orson Welles
PORTRAIT OF GINA (1958)
 
Portrait of Gina © Cinemazero / La Cineteca del Friuli
Nel 1958 Orson Welles decise di realizzare un documentario dedicato alla diva del cinema italiano Gina Lollobrigida e all'Italia: Portrait of Gina o Viva Italia. Il progetto doveva essere un episodio pilota per una serie televisiva chiamata Around the World with Orson Welles (Intorno al mondo con Orson Welles), che è anche il titolo di una serie Welles fece nel 1955 per la televisione commerciale britannica. Il film parla dell'Italia (la terza moglie di Welles, Paola Mori era di nazionalità italiana ed ebbe da lei una figlia, Beatrice), dove il regista ha vissuto e lavorato ad intermittenza per circa 20 anni (dal 1947 al 1970). L'immagine che ne veniva fuori illustrava sia aspetti negativi e positivi della cultura italiana. L'attrice Gina Lollobrigida, che viene intervistata alla fine del film, si è rifiutata di consentire il rilascio pubblico del film, a causa del ritratto che Welles ne fece di lei come di una ambiziosa e giovane attrice. Anche Vittorio De Sica, Rossano Brazzi, Anna Gruber e Paola Mori, la moglie Welles, vengono brevemente intervistati, e il film-documentario si muove come un racconto dal montaggio rapidissimo, in stile Ejzenstejn: una forma visiva moto simile a quella che ritroveremo nel più maturo e meditato F for Fake (1974). Nella magica cassa di Pordenone, insieme a Too much Johnson e a Il Mercante di Venezia, è stato rinvenuto anche un lungo estratto di circa 5 minuti, non inserito nel montaggio finale del documentario, dell'intervista a Gina Lollobrigida che sarà presentato durante la serata del 4 novembre 2015. Da questo breve ed inedito estratto è stato possibile identificare il nome di uno dei cameraman di Portrait of Gina: Mario Bava.
 Portrait of Gina©Cinemazero / La Cineteca del Friuli
										




Tutto il film è una sequenza di inquadrature fisse, dei veri e propri quadri che scandiscono le avventure e i tormenti del ragazzo con un effetto straniante che invita lo spettatore ad assistere alla giusta distanza senza essere eccessivamente coinvolto nella vicenda di un poeta mancato. Qualche eco della Nouvelle Vague? È il racconto del peregrinare del diciottenne Rémi Taffanel per 24 ore nella città del poeta Paul Valéry. Si accompagna ad un giovane italiano, Enzo, che dimostra una maturità e un senso pratico che l’aspirante poeta non sembra avere, immerso com’è nelle sue fantasie di grandezza. Vanno a pescare, passeggiano pericolosamente sugli scogli, parlano con gli sconosciuti che incontrano, ritornano al cimitero, ma niente da fare: Rémi non è riuscito a scrivere sui suoi appunti che poche parole. I due continuano la loro peregrinazione. Frequentano bar, tentano di comprare una bottiglia di vodka malgrado le resistenze del droghiere. Infine, Rémi incontra in un bar quella che avrebbe potuto essere la sua musa e l’amore della sua vita, Léonore. Passeggia con lei e di fronte alla curiosità della ragazza le confida i suoi sogni e i suoi propositi. Ma la ragazza scompare senza lasciare il numero di telefono. Intanto cala la sera. Rémi si ubriaca con la sua vodka e comincia la ricerca del Lèonore per le vie buie della città. Vomita e si abbandona sui marciapiedi. Sorge il sole e il ragazzo ritorna al cimitero: si comincia a fare strada il sospetto che tutto ciò non valga la pena. Forse non è destinato a diventare un poeta e forse il mondo non ha bisogno di lui. Bellissima la scena dell’incontro notturno con una bella sconosciuta che dorme appoggiata ad un muro, forse ubriaca, forse morta, che il ragazzo inutilmente cerca di rianimare, metafora, forse, dell’impossibilità di risvegliare l’ispirazione poetica. Splendida l’atmosfera di Sète, la fotografia e i colori digitali. Riprese durate solo 10 giorni.
 clichè sull’essere poeta parlando degli ardori dell’adolescenza, dei sogni e delle difficoltà per scovarli e realizzarli. In una dimensione a tratti surreale e sospesa Remi, quasi un archetipo del “giovane poeta” di Rilke, cerca ossessivamente l’ispirazione tra cimiteri, bar e librerie fino a chiedersi quale sia il suo posto nel mondo. Splendide le scelte cromatiche che esaltano i contrasti e giocano con la luce naturale dell’estate di Sete in una sinfonia di azzurri e bianchi ripresi anche dai colori dei vestiti di Remi e Leonore (che indossano gli stessi abiti per tutto il film) e dalle scritte che introducono i vari capitoli in inquadrature fisse che sembrano veri e propri quadri. In particolare poi, la tavolozza di colori nelle scene del cimitero ha la funzione estetica di inglobare la figura di Remi sullo sfondo sminuendone l’individualità e sottolineandone le frustrazioni.




