Apr 27, 2024 Last Updated 10:19 AM, Oct 14, 2021

54a MOSTRA 2018

Poster Pesaro 2018

Abbiamo siglato un accordo con il Pesaro Film festival per raccontare tutti gli eventi della 54a Mostra 2018. E abbiamo anche provveduto a selezionare i 5 finalisti della sezione (Ri)montaggi per le scuole superiori italiane. Ecco i nomi dei selezionati:

Steadicam di Alessandro Baraero (Itsos Albe Steiner - Milano)
The Meaning of Ink di Chiara Miele (Itsos Albe Steiner - Milano)
La rottura della quarta parete di Lidia Bellotti (Itsos Albe Steiner - Milano)
Il potere del punto di vista di Alberto Mugnai (Liceo artistico di Porta Romana - Firenze)
Alla ricerca della perfezione di AAVV (Liceo Artistico Sabbatini Menna - Salerno)

La nostra inviata Monica Macchi ci racconterà tutto attraverso articoli, foto e videointerviste durante i giorni della Mostra, dal 16 al 23 giugno 2018.

COMUNICATO STAMPA DEL PESARO FILM FESTIVAL 54A EDIZIONE 2018:

Roma, 8 giugno. Si è svolta questa mattina, presso l’Institut Français, la conferenza stampa della 54a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema che si terrà a Pesaro dal 16 al 23 giugno. Il direttore artistico Pedro Armocida ha illustrato il ricco programma che animerà le giornate pesaresi. “Sono tornato ad interrogarmi su cosa sia il nuovo cinema oggi” – ha esordito il direttore – “e, come ho spiegato anche nella mia introduzione al catalogo, con questa accezione possiamo riferirci a un film proiettato nel futuro, così come ★ di Johann Lurf che ha scelto solo un segno grafico per il titolo della sua opera e che sarà in concorso assieme ad altri cinque film provenienti da tutto il mondo; ma il ‘nuovo cinema’ è anche quello di un maestro come Marc’O, a cui la Mostra quest’anno dedica una retrospettiva, la prima in Italia. Pensiamo a Les Idoles, un film che ho definito ‘fiammeggiante’, presentato proprio a Pesaro cinquant’anni fa, e che ancora oggi riesce a sprigionare una carica rivoluzionaria ed innovativa. Nel concorso, poi, troviamo il francese Julien Faraut con il suo John McEnroe: In The Realm Of Perfection, un vero e proprio saggio teorico su uno dei più grandi tennisti del mondo. C’è poi Zerzura dello statunitense Christopher Kirkley, film girato interamente in Niger che offre una visione del Sahara completamente diversa. E, ancora, América degli statunitensi Erick Stoll e Chase Whiteside, struggente ritratto di una famiglia messicana; Los años azules della messicana Sofía Gómez Córdova, un coraggioso esordio con una squadra quasi tutta al femminile. L’Italia, invece, sarà rappresentata da Daniele Pezzi, con il suo Beware! The Dona Ferentes, che torna a Pesaro dove aveva già presentato una sua opera nella sezione ‘Satellite. Visioni per il cinema futuro’. Una sezione, questa, di cui vado ancora più fiero perché dedicata alla sola produzione italiana di film che altrimenti sarebbe impossibile conoscere. Difficilmente vedrete queste opere cinematografiche anche all’interno di altri circuiti festivalieri. Mi piace pensare che il Festival in qualche modo chiuda un discorso al suo interno tra Concorso e Satellite, e mi piace ancora di più pensare a Satellite come ad una sorta di laboratorio sempre aperto”.
Il segno distintivo della Mostra è, da sempre, quello di guardare al futuro mantenendo però alta l’attenzione dei grandi cineasti del passato che hanno rivoluzionato la grammatica cinematografica. Per questo Bruno Torri, presidente del comitato scientifico, ci ha tenuto a sottolineare come la Mostra non mancherà quest’anno di festeggiare un importante anniversario, quello del ’68, dove a Pesaro “è successo di tutto”, ma “oltre a ricordare il ’68, facciamo la Mostra studiando il cinema di oggi e prendendo sempre spunti e collegamenti dal passato per progettare il cinema del futuro”.
Molte poi, le parole di apprezzamento espresse da Daniele Vimini, Assessore alla Bellezza e Vicesindaco di Pesaro, che ha accolto con grande entusiasmo l’approdo in spiaggia, novità dell’anno, che vedrà la proiezione di tre grandi classici come: Il sorpasso (Dino Risi, 1962); La ragazza con la valigia (Valerio Zurlini, 1961); Amarcord (Federico Fellini, 1963).
A fare eco a Vimini anche Daniela Currò, Conservatrice della Cineteca Nazionale, con cui la Mostra porta avanti una proficua collaborazione. La Currò ci ha tenuto a sottolineare l’importanza del cinema delle donne, a cui il Festival ha dedicato l’intera sezione We Want Cinema e l’usuale pubblicazione edita Marsilio, a cura di Laura Buffoni (membro del comitato scientifico). La curatrice del libro, ha speso molte parole in difesa del lavoro portato avanti dalle donne all’interno dell’industria cinematografica che, però, rappresentano ancora solo il 10%.
Il tutto, si è concluso con il ringraziamento a tutti quelli che continuano a credere e a sostenere la Mostra, apportando importanti contributi con le tantissime sezioni che compongono il Festival: dall’omaggio a Carlo Delle Piane ed Ermanno Olmi al cinema d’animazione con il focus su Beatrice Pucci, passando per i video essay di (Ri)montaggi fino a Il muro del suono, il dopofestival musicale che rappresenta quasi un festival parallelo.

 

 

PERFEZIONE, REALTA’ E FINZIONE: JOHN MCENROE E JULIEN FARAUT

mcenroelocandina 420x340

Il cinema non è immagine del movimento ma della durata,

di quanto manca prima della parola “fine”:

per me il cinema è l’invenzione del tempo

Serge Daney, direttore dei Cahiers du Cinema

 

Cosa sarebbe stata la mia vita

se avessi vinto sempre?

John McEnroe

 NOTA BENE: NEI FILE AUDIO SONO PRESENTI LA RISPOSTA DI JULIEN FARAUT (IN LINGUA FRANCESE) E, A SEGUIRE, LA TRADUZIONE DI ANNA RIBOTTA (IN LINGUA  ITALIANA) 

Vincitore del premio Lino Micciché per il miglior film del concorso per “aver realizzato un film ossessivo e sorprendente, di rara raffinatezza stilistica, che, attraverso un montaggio di materiali di repertorio insieme cinematograficamente radicale e filologicamente rispettoso, ci svela, sequenza dopo sequenza, l'intimità del suo protagonista” e della Giuria Studenti “per l'intelligente e stratificata esplorazione di linguaggi eterogenei, dal cinema allo sport, dalla didattica alla filosofia, sintetizzati in un'opera altamente innovativa che riflette sulla ricerca della perfezione e sull'ontologia dell'immagine in movimento”.

Il film si apre su immagini in bianco e nero tratte da un film didattico degli anni Sessanta dove tennisti che evocano il Monsieur Hulot di Jacques Tati provano a ricreare i diversi movimenti del servizio. Gil de Kermadec, allora direttore tecnico della Federazione francese di tennis, decide invece di catturare la realtà dinamica del gioco riprendendo da diverse angolature e ralenti le partite del Roland Garros per poi ritrarre singoli giocatori: l’argomento del 1985 era John McEnroe.

WhatsApp Image 2019 06 07 at 15.01.31

Julien Faraut

ASCOLTA QUI IL SUO PERCORSO “ATIPICO” 

 

stava lavorando negli archivi dell’Istituto Sportivo Nazionale di Parigi (un ente pubblico che dipende dal Ministero dello Sport) quando ha scoperto pile di bobine di making off, cioè di materiale scartato dal montaggio finale dei film didattici (tra l’altro mai passati nè in tv nè al cinema ma a disposizione delle Federazioni Sportive).

Ha così utilizzato e montato - senza cadere in gesti stereotipati- inquadrature e tagli particolari da queste immagini in un documentario d’archivio che sfugge a qualsiasi categoria di genere, un documentario su uno sport di solito fruibile dal vivo o in tv (oggi orientata ad una contabilizzazione dell’evento su base numerica  in una visione sempre più ossessionata dalle cifre) e che assume qui una forma intrinsecamente cinematografica imperniata sulla soggettività della persona estrapolando la realtà dalla finzione creata attorno al personaggio costruito da se stesso e dagli altri.

A partire dal titolo, ASCOLTA QUI LA SPIEGAZIONE DEL REGISTA 

 

si dipana una riflessione sul linguaggio cinematografico e sulle sue relazioni tra e con il tempo e la durata, ASCOLTA QUI LE RIFLESSIONI DEL REGISTA

ma anche sul ruolo della videocamera nella costruzione dell’immagine che gli altri hanno di noi (con una digressione su Tom Hulce che si è preparato per la parte in Amadeus di Milos Forman studiando proprio il comportamento di McEnroe in campo) e sulla sua capacità di modificare la realtà.

Spesso McEnroe chiede ai fotografi di ritirarsi e reagisce  con sensibilità esasperata ai suoni e ai cambiamenti d’atmosfera: e qui il documentario vira verso la psicologia clinica a partire dalla fulminea sentenza di Serge Daney “l’ostilità degli altri è la sua droga”. Viene così inanellata una pantomima autodistruttiva trasformata in un gioco sublime, percepiamo la collera, la lucidità strategica, l’iper-controllo, la voglia e la rabbia di fare sempre meglio in una gara contro se stesso (in tutte le immagini si vede un solo giocatore che sembra appunto giocare contro se stesso) fino alla confessione “dopo essermi laureato e avere vinto la Coppa Davis adesso posso vivere la mia vita”. McEnroe assurge a simbolo della New York degli anni Ottanta, di quell’energia, della sua tensione e del nervosismo ma anche dell’assoluta ed estrema creatività, valorizzate ed esaltate da una splendida colonna sonora che ne riprende la scena musicale  

ASCOLTA QUI LE SCELTE DEL REGISTA…E SCOPRIRAI PERCHE’ I RAMONES SONO STATI ESCLUSI 


E se “la terra rossa crea la fiction”, l’ultima parte del film diventa una scena teatrale: seguiamo minutaggio e cronaca della finale maschile tra McEnroe e Lendl,  e grazie ad immagini inedite in 16 millimetri caratterizzate da tessitura e grana particolarissima, si aprono visioni nuove su un evento di cui tutti conoscono l’esito.

ASCOLTA QUI COME IL REGISTA HA APPLICATO LA NOZIONE DI SUSPENCE MUTUATA DA HITCHCOCK


Un dramma diventa tragedia con l’ausilio di raffinate tecniche sonore in una sospensione del tempo che estrapola tutta la genialità del tennista in campo e della sua gestualità: ma è la realtà o McEnroe si trova già in un film?

Scheda tecnica

Titolo: John McEnroe: L’empire de la perfection (titolo internazionale: John McEnroe: In the realm of perfection)

Regista: Julien Faraut

Anno: 2018

Durata: 95'

Produzione: UFO Production

Produttori: William Jehannin, Raphaelle Delauche

Direttori di fotografia: Julien Faraut, Gil De Kermadec

Editor: Andrei Bogdanov

Musica: Serge Teyssot-Gay

Voce off: Mathieu Amalric

 

 

Ascolta 

AMÉRICA: ¡QUE VIVA MEXICO!

sedia

Grazie a Dio, viviamo in Messico,
un paese corrotto
dove ai giudici piacciono i soldi!

Chase Whiteside e Erick Stoll, due documentaristi appena usciti dalla Wright State University di Dayton, sono andati a Puerto Vallarta con l’idea di fare un film sui turisti americani in Messico, e lì hanno fatto amicizia con Diego, che si esibiva nei locali notturni sui trampoli ballando su “Staying alive” vestito e truccato come Elvis Presley.
Così quando América, la nonna ultranovantenne, cade dal letto ed il padre Luis, quasi settantenne, viene incarcerato per negligenza, Diego si trova costretto a tornare a Colima e i due registi decidono di andare con lui, già conquistati da América, ancor prima di conoscerla. Ne seguono le vicende per più di tre anni in un grande ritratto familiare, che parte dalle riprese dall’alto di un corpo fragile e “fragilizzato” immobile a letto tra le coperte, per poi spaziare ai dettagli sulle mani e sulle vite intrecciate, sino agli aneddoti di vita quotidiana e alla questione di fondo: lei è ormai “solo” istinti e funzioni corporee o c’è “ancora” dell’altro? Quale è la realtà di América e come ci si può rapportare?

Qui il trailer del film: https://vimeo.com/263269817


Quasi tutto girato all’interno della casa, con la macchina da presa che indugia sui ritratti di Zapata e Frida Khalo e sui mille dettagli colorati che rappresentano una vita intera, è costruito attorno a un'irresistibile matriarca che invecchia e continua a invecchiare sempre più e sempre più rapidamente ma riesce a intrecciare diversi piani narrativi che ne costituiscono i punti di forza al di là dell’empatia immediata con la famiglia Serrano.
Emergono così i legami fra i tre fratelli -Diego, Bruno e Rodrigo- spesso in disaccordo e a volte frustrati da responsabilità a cui vorrebbero sottrarsi (significative le scene in cui i tre sono uno sulle spalle dell’altro in una “colonna circense” prima che saltino i rapporti nelle minuzie della routine: chi fa cosa, chi porta i soldi a casa…); la relazione con América e soprattutto come gestire la sua confusione e le sue fragilità che si tramutano in un senso di continua meraviglia che spinge la famiglia a riunirsi; la quotidianità del nucleo familiare (comprese le operazioni di doccia e clistere che vengono affrontati con tenerezza e senza troppi filtri) all’interno però di uno sguardo più ampio sulle macrodinamiche in cui è inserita la vicenda. Si punta lo sguardo contro l’odissea giudiziaria vissuta dal padre (con i fratelli alla ricerca spasmodica di contatti con gli avvocati e con i rappresentanti istituzionali…fino alla soluzione della bustarella!) che si lega alla denuncia nei confronti di un sistema sanitario che abbandona gli anziani senza fornire alcun tipo di assistenza né medica né contributiva… e pure i poliziotti nell’unica scena polverosa ed insieme soleggiata in cui América viene portata al parco a fare qualche passo appoggiandosi alla sedia a rotelle si avvicinano dapprima incuriositi e poi minacciosi.

americalocandina
E proprio qui emerge la vena militante di Whiteside e Stoll che hanno iniziato la loro collaborazione realizzando cortometraggi attivisti sotto l'etichetta “New Left Media” e postandoli su Internet (in particolare hanno coperto l’opposizione alla riforma della sanità proposta da Obama e approvata nel 2009) mentre il loro ultimo corto è incentrato su Ricardo Aca, un immigrato irregolare che lavora in un hotel di Donald Trump.
Una sotterranea vena malinconica che viene mitigata da un profondo senso di rispetto ed amore incondizionato tra le diverse generazioni che permette a Rodrigo di andarsene via, a Bruno e Diego di accettare di non essere più in grado di accudirla da soli e di portarla da altri parenti mentre ancora una volta América li rassicura canticchiando la canzone che sta trasmettendo la radio.
E lo schermo improvvisamente nero vela e svela la scena di chiusura sulle stesse note come omaggio finale a tutte le madri.

ATA TU ARADO A UNA ESTRELLA: L’UTOPIA COME FRAMMENTO D’ETERNITÀ

tecno

1997: nel momento storico-culturale di un’Europa che vede all’orizzonte la fine della storia, così come teorizzata da Francis Fukuyama, e si ritrova preda di una profonda crisi di progettualità, una televisione tedesca propone a Fernando Birri un progetto sul Che a trent’anni dalla sua uccisione in Bolivia. Birri accetta ma a condizione di non farne un’agiografia e decide di indagare la validità dell’Utopia nel mondo contemporaneo: nasce così Che: ¿muerte de la utopía?, un documentario di interviste basate su due sole domande “Chi era il Che?” e più complessa, “Cosa è l’utopia?”. Così, senza alcuna provocazione né senza cercare alcunchè di premeditato, ma per puro interesse di conoscere quello che realmente pensa la gente, vengono inanellate una serie di risposte che fanno emergere anche il senso politico ed insieme poetico della sua produzione cinematografica.
Si parte dalla celeberrima definizione di Tommaso Moro sull’Utopia e la si declina in mille diverse varianti e sfumature: l’utopia è irrealizzabile o sembra “solo” impossibile da realizzare? O ancora è “semplicemente” difficile da realizzare? O è qualcosa che potrebbe accadere ma in altre circostanze o tempi? Ma visto che questi discorsi sono troppo astratti per i campesinos, Eduardo Galeano traduce l’Utopia nel “diritto di sognare”, concetto che viene subito riprodotto sul muro delle varie comunità.

Al suo fianco c’è Carmen, a cui spesso si rivolgono direttamente (lamentandosi scherzosamente che “l’ossessione di filmare la vita fa raffreddare l’asado”), che monta il materiale archivistico dal backstage in Compañero Birri, diario de una filmaccion, un VHS che è andato perso per 18 anni e solo da poco ritrovato, in cui si alternano riflessioni teoriche e tecniche, momenti conviviali (come il pranzo nel ranch di Rincón in cui Birri immagina il suo funerale con le foto di Rocha e Solanas e le sue ceneri disciolte nella birra mentre vengono strappate e bruciate le bandiere nazionali), e momenti ufficiali, tra cui il discorso di inaugurazione della Escuela de San Antonio de los Baños aperta a Cuba il 15 dicembre del 1986 “in questa notte di luna piena, lunga vita all’utopia con una scuola antiscolastica, un centro di produzione ed energia” alla presenza di Gabriel Garcia Marquez e Fidel Castro.

GGM Fidel Castro Fernando Birri 600x 300x208

Tutto questo materiale di repertorio viene montato con i primissimi passi legati al neo-realismo e le motivazioni che l’hanno spinto al cinema con la domanda di ammissione dattiloscritta su fogli protocollo fatta da Birri al Centro Sperimentale di Roma, dove sotto la tutela di Cesare Zavattini, ha studiato regia insieme ai cubani Julio García Espinosa, (che diventerà vice-ministro della cultura a Cuba) e Tomás “Titon” Gutiérrez Alea (regista di “Fresa Y Chocolate”, Orso d'argento a Berlino nel 1994), con Gabriel García Márquez (scrittore che si è dedicato anche a numerose sceneggiature tra cui “Tiempo de morir” di Arturo Ripstein e “María de mi corazón” di Jaime Humberto Hermosillo e con Domenico Modugno e con un’intervista recente (pochi mesi prima della sua morte) con Birri che a 92 anni si entusiasma per le nuove tecnologie e per l'utopia riconosciuta come significato ultimo della sua produzione poetica cinematografica. Il passato rivoluzionario delle lotte, il suo esilio intrecciato alla storia più ampia dell’Argentina (esemplificato dalla celeberrima foto di Galtieri con la Giunta durante la Messa), il momento neoliberista degli anni Novanta fino a Macri e sempre l’utopia intesa come la memoria del futuro.
Emerge così prepotente il ritratto intimo e scanzonato di un militante creativo che è riuscito a modificare il cinema dall’interno coniugando politica e cultura perché

“il nostro motto è resistere anche quando le realtà sembrano mentirci
e la vita consiste nella memoria del futuro, un progetto che io chiamo UTOPIA:
tutti aspirano ad avere un minimo frammento di eternità”

locandina Ata Tu

SCHEDA TECNICA
Regia: Carmen Guarini
Sceneggiatura: Carmen Guarini
Direttore di produzione: Marcelo Céspedes
Direttore della Fotografia: Martín Gamaler
Editing: Carmen Guarini
Colonna Sonora Originale: Gustavo Pomeranec
Audio post produzione: Adrián Rodríguez
Graphic Design: Antonella Fraccaro
Interviste: Eduardo Galeano, Ernesto Sábato, Osvaldo Bayer, León Ferrari, Tanya Valette, Teresa Díaz, Carmen Pappio Birri

 
 

Acquista on line

Orson Welles e la new Hollywood. Il caso di «The other side of the wind»

Orson Welles Studer
Alle origini di «Quarto potere». «Too much Johnson»: il film perduto di Orson Welles
alle origini di quarto potere
"Olympia" (con DVD) di Massimiliano Studer

Olympia

I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando il sito web Formacinema, accetti l'utilizzo dei cookies. Cookie Policy