Categoria: 52a MOSTRA 2016
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 les ogres still

Se ti piace Cechov,

potrai sempre cavartela nella vita.

Vivere, lavorare, essere felici e cercare la bellezza…

La vita sta in questo, non nei soldi 

Ariane Mnouchkine, fondatore del Théâtre du Soleil

Leggendo non vi scandalizzate

meglio è scrivere di risa che di pianti

chè ridere soprattutto è cosa umana

Rabelais

Il cinema è un turbine, che ci porta in una danza.

non avrete mica intenzione di starvene tranquilli in poltrona…

No, qui ci si agita, si partecipa, ci si lascia invadere

e si frantumano le convenzioni sociali

Léa Fehner

I fan del cinema congelato e gli abbonati alle sale col velluto rosso

 lo troveranno troppo esuberante, troppo urlato, troppo partigiano, troppo generoso

e noi li compiangiamo perchè sono già morti

mentre Léa Fehner è viva. Applausi.

Jerome Garcin, critico cinematografico del  Nouvel Observateur

L’arte e(è) la vita su un palcoscenico on the road senza distinzione tra scena e retroscena, in bilico tra Rabelais e Checov. Ecco a voi gli orchi del Davai Theatre: amori, tradimenti, bimbi ed animali che scorrazzano liberi, sontuosi costumi, sbronze  e scazzottate… “e soffi pure la tempesta che io cavalco il tramonto!” Miglior film al Festival di Cabourg, ha vinto il premio del pubblico e della critica al 52° Festival di Pesaro con la seguente motivazione: “Per raccontare con efficacia le molteplici sfumature della vita, che prendono forma nella rappresentazione di un variopinto microcosmo; per la sua narrazione acrobatica e dinamica che avvolge lo spettatore in un girotondo di note, colori ed emozioni; per l’incisività dei dialoghi che restituiscono la malinconia dell’esistenza; per farsi specchio sognante dell’essenza artistica della natura umana”.

davai

Davai: esortazione-mantra che percorre tutto questo film corale che ricorda una vaudeville, buffa e buffonesca tra il teatro itinerante e il circo, facendone una pratica più collettiva e meno gerarchica di quella meramente cinematografica: ad esempio uno dei personaggi maschili, interpretato uno strepitoso Marc Barbé si chiama Mr Déloyal in un capovolgimento della figura circense di Monsieur Loyal, che nella tradizione francese rappresenta il capo della pista.

monadeloyal2

Una compagnia teatrale di Orchi, una famiglia ricomposta e utopica che vive in e di un’autarchia precaria, ultimi avventurieri fieramente artisti in un mondo assopito e mediocre. E la grande bellezza e la grande difficoltà di tutte le famiglie intese come relazioni che vanno al di là di quelle di sangue ma che si riferiscono a chi incontri, chi cerchi, con chi lavori e condividi è quella di amarsi ma non riuscire ad aiutarsi…anzi a volte addirittura a farsi del male come raccontato nella favola del re e del menestrello. Ed infatti c’è anche chi se ne va: Inès, la figlia che si sente sacrificata ed incompresa… e la madre si trova costretta ad ammettere “ha bisogno di vivere senza di noi!”. Inès rappresenta un po’ l’alter ego di Léa, la regista che cresciuta in un ambiente simile, se ne è allontanata per arrivare a metabolizzarlo solo ora…e l’ha metabolizzato così bene che nel cast recitano il padre, François, la sorella Inès e la madre Marion Bouvarel! La sua famiglia infatti, nei primi anni Novanta, ha costituito il teatro itinerante AGIT, un teatro militante che sulla scia del Théâtre du Soleil e del Grand Magic Circus, mischiando musica, danza, marionette e continuo coinvolgimento del pubblico ha creato progetti di educazione popolare nella zona di Tolosa in collaborazione con Tahar Ben Jelloun e Katib Yassine. Ed anche il precedente film ambientato nel parlatorio di una prigione, luogo simbolico di un confine invalicabile  tra interno ed esterno Qu’un seul tienne et les autres suivront  (titolo internazionale Silent voice) è nato da esperienze di volontariato di Léa in associazioni che sostengono le famiglie dei carcerati. Il film è stato vincitore nel 2009 di numerosi premi tra cui  Prix Delluc, Etoiles d’or e Lumiere Award.

troupe

In questo microcosmo avviluppati da un sovraccarico sensoriale (musica, battute, doppi sensi, pantomime, metafore, ostentata meta teatralità, fiumi di alcool e continui cambi di suntuosi abiti di scena) vediamo gli Orchi avere fame di vita, di cibo, di pubblico, di battibecchi, di amicizia e d’amore ma ne vediamo anche gli aspetti più grevi ed irriverenti in un continuum tra comicità, dramma e tragedia, tra clown e pierrot: quando le labbra sorridono, vediamo anche la lacrima che scende sulla guancia. Tra entusiasmi e smarrimenti, qui ed ora, bambini, giovani, anziani ed animali navigano a vista senza neppure (intra)vedere l’orizzonte consapevoli che essere vivi non significa vincere o guadagnare ma essere liberi e scegliere le proprie strade (anche) fuori dai sentieri battuti. I bambini nascono anche se i padri non si sentono pronti, le donne si trovano amanti anche se sono incinte, le coppie continuano ad amarsi anche se sono scoppiate, la troupe continua a recitare anche se le casse sono perennemente vuote, si lotta contro il vento quando si smonta il tendone e si continua a vivere mischiando gli antidepressivi… certo “sarebbe meglio l’eroina…ma non è rimborsabile!”. Questa è la scelta e la filosofia del teatro itinerante: condividere invece che brillare da solista a scapito degli altri.

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Sono dunque Orchi perché non hanno paura di essere trasgressivi né di pagarne le conseguenze: spietatamente sinceri sino ad umiliare pubblicamente gli altri (memorabile la sequenza in cui Marion viene messa all’asta mentre François le rinfaccia “i tuoi desideri si sono rimpiccioliti…pensi sia desiderabile una donna come te?” e quando torna dalla notte con l’amante l’apostrofa “ti si è riempito il culo, ti si è svuotata la testa” per poi urlare a tutta la troupe “Mia moglie ha scopato con un altro!” e ricevere per tutta risposta “Ma almeno lei sta zitta”) con un appetito per la vita che ricorda Rabelais e quel Pantagruel che protegge Utopia invasa dai Dipsodi grazie all’aiuto del frate Fracassatutto e lo ricompensa per l’aiuto con un monastero la cui unica regola è “fai quello che vuoi”.

Un appetito di passione per la vita così rumoroso e totalizzante che arriva anche a cibarsi di chi sta più vicino e così si arrampicano le une sulle altre scene, storie, amori, tradimenti, champagne, ostriche, vino, vodka, fuoco, arte…insomma tutto ciò che ha e dà  l'energia per superare il dolore. E si arrampicano anche il codice altro delle citazioni di Chechov con il codice basso delle funzioni corporali, degli animali che scorrazzano liberi, e di un’epica battaglia a colpi di cous-cous che ricorda Obelix e che porta ad una scazzottata sulle note di 24.000 baci di Celentano che coinvolge persino un acquario con i pesci colorati che schizzano ovunque sul pavimento e cercano comunque di nuotare (ennesimo omaggio al Giardino dei Ciliegi?!?) fino a morirne. Dopo l’ennesima sbornia si risvegliano beccati dalle oche in mezzo alle merde di mucche e si mettono a ripulire per lo spettacolo della sera che però avrà un imprevisto che ricompone in maniera inaspettata l’equilibrio precario della troupe…in attesa della prossima tempesta e del prossimo tramonto da cavalcare.

Titolo: Les Ogres

Regista: Léa Fehner

Sceneggiatura: Léa Fehner, Catherine Paillé e Brigitte Sy

Suono: Julien Sicart

Fotografia: Julien Poupard

Montaggio: Julien Chigot

Costumista: Sylvie Heguiaphal

Editor: Julien Chigot

Musica: Philippe Cataix

Casting: Sarah Teper

Produzione: Philippe Liegeois

Casa di produzione: Films Bus

Casa di Distribuzione: Pyramide International (Parigi)

Paese: Francia

Durata: 144’

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